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Argomento:
Metodologia dell'allenamento del calcio
Data:
2001
Testata:
Il Nuovo Calcio.106: 100-103, 2001
 
Come salvarsi dal terremoto
di Gian Nicola Bisciotti

Da alcuni anni l’aspetto "forza muscolare" ha assunto, e sta continuando ad assumere, un importanza sempre maggiore nell’ambito della preparazione calcistica. Il calcio moderno è in effetti sempre più rapido e, per utilizzare un espressione da campo che va tanto di moda, sempre più esplosivo. Questo aspetto senz’altro giustifica un’attenzione particolare nell’allenamento delle capacità di forza esplosiva nell’ambito della preparazione atletica del calciatore, anche se a mio modesto parere, spesso, direi forse toppo spesso, il concetto dell’allenamento della forza esplosiva viene sovente "estremizzato", o meglio "mal interpretato" ." Estremizzato è il termine che preferisco, proprio perché l’estremizzazione di un concetto porta inevitabilmente ad una sua cattiva interpretazione, il primo termine dunque è anche comprensivo del secondo, ossia il secondo è consequenziale al primo. Ma dopo queste disquisizioni semantiche, occorre senz’altro che cerchi di chiarire da un punto di vista prettamente metodologico il concetto. Se è senz’altro vero che le azioni che contraddistinguono il calcio moderno sono di tipo "esplosivo" , e su questo credo che nessuno possa dissentire, è senz’altro altrettanto vero che queste azioni non sono da considerarsi singolarmente , ma al contrario come calate nel contesto di gioco, facendo riferimento al conseguente quadro fisiologico di riferimento.

Il tanto conosciuto, quanto spesso dimenticato, modello prestativo di gioco, ci ricorda che il calciatore effettua circa 195 sprint (leggi "azioni esplosive" ) della lunghezza compresa tra i 10 ed i 15 metri (Cometti, 1995), correndo per circa il 25% del tempo totale di gioco ad oltre il 120% della propria velocità aerobica massimale (Bisciotti e coll., 2000). Oltretutto il fatto che il calcio moderno richieda sempre di più azioni veloci ed esplosive, è sottolineato dalla constatazione che il numero degli "scatti brevi" effettuati nel corso dei 90’ di gioco, è andato progressivamente aumentando, dai 70, registrati in studi effettuati nel 1947, siamo arrivati ai 145 del 1970, sino a raggiungere, come già citato, il ragguardevole numero di 195 (Dufour, 1990). Occorre inoltre considerare che il tipo di corsa che il calciatore deve giocoforza adottare, è fatto di un susseguirsi di fasi accelerative e decelerative.

Dal momento che l’accelerazione e la decelerazione comportano un costo energetico aggiuntivo, diviene facilmente comprensibile come la corsa adottata dal calciatore sia energeticamente molto dispendiosa (Bisciotti e coll., 2000).

Un alto costo energetico comporta l’instaurarsi del ben noto fenomeno della fatica. La fatica è una sensazione ben nota a tutti gli sportivi, calciatori compresi. Per far ben comprendere l’ "eziologia", ossia la ragione, o meglio le ragioni, per le quali un organismo impegnato in un lavoro muscolare, va incontro a questa fenomeno, ai miei studenti della Facoltà di Scienze dello Sport, futuri, spero buoni, professionisti dello sport, porto sempre l’esempio del terremoto.

Cosa può avere a che fare, diranno i più, il terremoto con l’instaurarsi del fenomeno della fatica? Credo che tutti, o per lo meno quasi tutti, abbiate visto uno dei film del famoso filone "terremoto" . In questi film l’evento scatenante è dato dal verificarsi del violento tremore della terra, il terremoto appunto, a questo fa seguito il crollo dei palazzi, che se posti a stretto contatto, come nei centri storici delle città, crollano come le pedine di un domino, al crollo dei palazzi fa seguito lo scoppio delle tubature del gas, che a loro volta generano incendi a catena, poi alla fine crolla sempre l’immancabile diga che inonda il tutto e così via. Tutta questa catena di eventi, tra loro collegati, porta come risultato ultimo, il collassamento del sistema, ovvero la catastrofe. I modelli matematici che descrivono il terremoto si presterebbero anche per descrivere la fatica di un atleta impegnato in un lavoro di alta intensità. Nel suo organismo infatti si vengono a verificare tutta una serie di eventi (produzione di lattato, produzione di ammonio, una diminuzione della liberazione di ioni calcio, l’accumulo di fosfato inorganico, di ADP, di potassio, un inibizione generalizza a livello corticale… ecc) tra loro correlati, che portano, come nel caso del terremoto, al collassamento del sistema, questa volta in termini organici. L’atleta che conosce il fenomeno della fatica, quindi va progressivamente verso il suo "punto di collassamento". Il susseguirsi delle azioni esplosive di cui si compone il modello prestativo del calcio a cui accennavamo prima, va visto quindi in questo conteso di progressivo avvicinamento al nostro "punto di collassamento". Tra le altre cose la tanto denigrata potenza aerobica potrebbe costituire una solida base "antisismica", tanto per restare in tema, che potrebbe spostare in avanti il punto critico al quale la fatica appare. Sempre per richiamare in causa i miei studenti, tengo sempre ricordargli che la tanto paventata possibile trasformazione delle fibre veloci in fibre lente, conseguenza inevitabile, per alcuni, dei lavori rivolti all’aumento della potenza aerobica, andrebbe riesaminata alla luce di nuove considerazioni scientifiche. Esiste un bellissimo articolo di J. Andersen, P Schjerlin e B. Saltin, che tra le altre cose è uscito, in versione molto divulgativa ma comunque sempre interessantissima, sia in Italia che in Francia su due note riviste di divulgazione scientifica (Le Scienze e Pour la Science), molto delucidante al proposito, tanto che nel consigliarne vivamente la lettura ai miei studenti lo ho volutamente sottotitolato, in maniera chiaramente provocatoria, "Chi ha paura del lupo?". Ne consiglio caldamente la lettura a tutti.

Da quanto detto quindi mi pare chiaro che l’allenamento della forza esplosiva nella sua forma diciamo "pura", ossia attraverso la metodica di allenamento classica, che prevede carichi attraverso i quali si esprime la massima potenza, per un numero di ripetizioni che sono in funzione di quest’ultima e tempi di recupero ovviamente decisamente abbondanti, trova una sua giusta , ma non unica ed esclusiva collocazione nell’ambito dell’allenamento del calciatore. Voler eleggere questo tipo di metodologia di lavoro come unica ed esaustiva metodica di lavoro, costituisce l’estremizzazione a cui accennavo in apertura, la cui diretta conseguenza è l’errata interpretazione del concetto "forza nel calcio".

In effetti il problema è allenare la potenza muscolare anche nella sua forma che potremmo definire "spuria", ossia in condizioni di fatica (leggi in condizioni di terremoto fisiologico), in modo tale da allontanare e controllare il più possibile il famoso "punto di collassamento del sistema" (leggi "sistema atleta").

Come quindi ? attraverso tutta una seri di concatenazioni di azioni esplosive reiterate sino al punto di creare delle condizioni di affaticamento simili se non leggermente superiori a quelle di gioco. Perché "se non leggermente superiori" ? , la risposta è semplice: per ottenere da un sistema organico una risposta di adattamento fisiologico soddisfacente, occorre mettere in crisi il sistema stesso. Basti ricordare ad esempio come per aumentare la densità mitocondriale, caratteristica adattiva tipica del sistema aerobico, occorre svolgere allenamenti la cui intensità provochi la formazione di una seppur modesta quota di lattato, in altre parole occorre mettere in crisi il sistema aerobico. Questo concetto è valido anche per ciò che riguarda la forza, o meglio soprattutto per questo particolare aspetto, che a me piace definire con un termine molto poco corretto dal punto di vista scientifico ma che a mio pare descrive bene il concetto, "aspetto metabolico della forza". Occorre mettere in crisi il sistema, non troppo però, altrimenti si rischia di porre troppo l’accento sulla resistenza alla forza. La concatenazione di esercitazione deve essere quindi sufficientemente lunga da avvicinare l’atleta al punto critico di fatica, mettendo in tal modo in crisi il sistema, ma non troppo lunga da far perdere la connotazione "esplosiva" all’esercitazione stessa. Meglio ancora se queste esercitazioni prevedono una certa alternanza tra fasi di alta intensità e fasi di recupero attivo, questo per essere ancora maggiormente attinenti al modello prestativo di competizione.

Fermo restando, che come abbiamo detto poc’anzi il fenomeno della fatica è un fenomeno "multifattoriale" , al quale appunto concorrono numerosi parametri scatenanti, e che quindi non si può assolutamente assumere uno solo fattore come unico responsabile dell’instaurarsi della fatica, proviamo a dare qualche indicazione di ordine pratico.

Occorreva quindi assumere qualche marker della fatica, che potesse in modo sufficientemente affidabile farci capire di quanto il sistema si avvicinasse al punto critico di collassamento. Ho pensato quindi di considerare a questo proposito la produzione di lattato e di ammonio, discretamente affidabili, anche se non unici responsabili (e questo tengo a sottolinearlo) della fatica organica. In tutta onestà devo anche dire che la scelta è caduta sul lattato e sull’ammonio soprattutto per la loro facilità di dosaggio in condizioni di allenamento.

Le esercitazioni sono volutamente svolte sul campo e non in sala di muscolazione ( ma lo stesso tipo di concetto metodologico può essere facilmente trasportato anche in sala pesi) per numerosi motivi:

-Sono esercitazioni semplici e quindi sicuramente fattibili anche per chi non avesse grosse attrezzature a disposizione.

-Comprendono sempre delle fasi di corsa con cambiamento di direzione. Tengo sempre particolarmente a sottolineare che anche e soprattutto nell’ambito dell’allenamento delle capacità di forza, occorre ricordare che, in ultima analisi, nel calcio si corre! e tra l’altro si corre proprio così, accelerando, decelerando e cambiando continuamente di direzione.

-Sono di facile organizzazione per l’allenatore, che riesce in tal modo a far lavorare contemporaneamente tutta la rosa dei giocatori.

In alcune circuiti si richiede l’esecuzione di un gesto tecnico eseguito "in potenza" dall’atleta. Attenzione però! Occorre richiedere contestualmente potenza e precisione, domandando all’atleta di indirizzare la palla in un settore ben preciso, in caso contrario si allenerà l’atleta ad essere potente ed impreciso, il che non mi sembra un gran bel risultato da perseguire.

Gli effetti catastrofici di un terremoto a Kobe e gli effetti, altrettanto catastrofici, della fatica dipinti sul volto di un atleta. Terremoto e fatica hanno in effetti, almeno da un punto di vista matematico, molti punti in comune.

ESEMPIO 1

A: corsa navette alla massima velocità su 4 tratti della lunghezza di 20 metri

B: corsa a ritmo di VRA (velocità di recupero attivo) per un tratto di 30 metri. Il ritmo di corsa della VRA è circa il 65% della Velocità Aerobica Massimale, per un giocatore di medio livello (VAM pari a 17 km/h) si tratta di coprire i 30 metri in circa 10 secondi.

C: 5- 6 ripetizioni di semi squat jump con un carico pari al 30-35% del carico massimale.

D: 6 tiri alla massima potenza esecutiva compatibile con la richiesta di indirizzare il pallone in un preciso bersaglio. La distanza di tiro è variabile ed a discrezione dell’allenatore.

Serie: da 3 a 6

Tempo di recupero: 4’-5’

Produzione di lattato riscontrata : 8.1 ± 1.3 mml · l-1

Produzione di ammonio riscontrata: 91.08 ± 8.74 μml · l-1 .

ESEMPIO 2

A: Scatti con arresto e cambiamento istantaneo di direzione (20 m + 10 m + 10 m )

B: corsa a ritmo di VRA (velocità di recupero attivo) per un tratto di 30 metri. Il ritmo di corsa della VRA è circa il 65% della Velocità Aerobica Massimale, per un giocatore di medio livello (VAM pari a 17 km/h) si tratta di coprire i 30 metri in circa 10 secondi.

C: 6 balzi "seduto — in piedi" su di una panca di 40-45 cm di altezza

D : corsa navette alla massima velocità su 4 tratti della lunghezza di 10 metri

E: 5 ripetizioni di semi squat jump con un carico pari al 30% del carico massimale.

F: 30 secondi di palleggi individuali

G: slalom stretto alla massima velocità su di un tratto di 15 metri con paletti distanziati tra loro di 1.5 metri.

Serie: da 3 a 6

Tempo di recupero: 4’-5’

Produzione di lattato riscontrata : 8.8 ± 1.8 mml · l-17

Produzione di ammonio riscontrata: 91.08 ± 15.34 μml · l-1 .

ESEMPIO 3

A: Scatti con arresto e cambiamento istantaneo di direzione (20 m di scatto in avanti + 10 m all’indietro alla massima velocità + 10 m di corsa laterale alla massima velocità ).

B: 30 secondi di palleggi individuali.

C: skip 20 toccate

D : corsa navette alla massima velocità su 4 tratti della lunghezza di 10 metri.

E: corsa a ritmo di VRA (velocità di recupero attivo) per un tratto di 30 metri. Il ritmo di corsa della VRA è circa il 65% della Velocità Aerobica Massimale, per un giocatore di medio livello (VAM pari a 17 km/h) si tratta di coprire i 30 metri in circa 10 secondi.

F: 5 ripetizioni di semi squat jump con un carico pari al 30% del carico massimale.

G : 6 balzi "seduto — in piedi" su di una panca di 40-45 cm di altezza.

H: 6 colpi di testa richiedendo un esecuzione tecnicamente precisa

Serie: da 3 a 6

Tempo di recupero: 4’-5’

Produzione di lattato riscontrata : 8.5 ± 1.2 mml · l-1

Produzione di ammonio riscontrata: 94.55 ± 10.46 μml · l-1 .

Nota: dal momento che durante il gioco la produzione di lattato media si aggira sulle 6 —7 mml ·l-1, i valori di circa 8 mml ·l-1 registrati in questi tipi di esercitazioni, sembrerebbero ideali per mettere "in crisi" il sistema provocando in tal modo un idonea risposta adattiva. I valori di ammonio sono un parametro altrettanto interessante, in quanto l’ammonio è uno dei principali responsabili della traduzione della fatica periferica (a livello muscolare) in fatica centrale ( a livello encefalico) E’ importante notare che una delle conseguenze della fatica centrale è la perdita di coordinazione e di efficacia del gesto unita ad una perdita di "lettura tattica" dell’azione di gioco (Bisciotti, 2000).

Come monitorizzare i progressi

Questo aspetto riguarda ovviamente maggiormente le squadre professionistiche, che hanno la fortuna di avere a loro disposizione strumenti e mezzi ideali per questo tipo di indagine, ma è comunque interessante sapere come sia possibile testare i possibili progressi della capacità di resistenza allo sforzo esplosivo. Il primo step consiste nel calcolare, grazie ad una particolare apparecchiatura (Real Power, Globus Italia), il carico con il quale è possibile produrre la massima potenza e quantificare , sia la potenza di picco che, la potenza media. Il test è molto semplice si tratta di effettuare tre movimenti alla massima velocità esecutiva con tre diversi carichi, che corrispondono al 30%, 50% ed 85% della forza massimale dinamica. In tal modo si costruirà una parabola (figura 1) il cui vertice (che viene calcolato automaticamente) ci indicherà , sia il carico con il quale si riesce a produrre la massima potenza, che il valore di quest’ultima. L’esercitazione adottata può essere , sia in catena cinetica aperta (leg extension), oppure chiusa (pressa o squat), l’esercizio più interessante è senza dubbio il semi-squat, dato l’importante sinergismo muscolare che mette in atto. La seconda fase prevede di quantificare il numero di ripetizioni che si riesce ad eseguire con il carico così calcolato, riuscendo a produrre una percentuale elevata della potenza massima (normalmente compresa tra il 90 ed il 95%). Questi saranno i nostri parametri di riferimento. Proprio questo secondo tipo di test , eseguito nuovamente in condizioni di affaticamento, costituirà il nostro "termometro", in grado di indicarci di quanto l’allenamento sia riuscito a spostare il nostro "punto di collassamento". Il test di percentuale di potenza prodotta ed il numero di ripetizioni effettuate ad una percentuale di potenza pre-definita, eseguito subito dopo le sessioni di allenamento di forza che ricalchino gli esempi soprariportati, e confrontato con gli stessi parametri di base (registrati nel primo test effettuato in condizioni muscolari ideali), ci daranno un idea della resistenza del nostro sistema organico nei confronti dei fenomeni "sismici" della fatica muscolare.

Figura 1 : La prova si riferisce ad un atleta che abbia un valore di carico massimo dinamico pari a 100 kg. Durante la prima prova effettuata con il 30% del carico massimo dinamico (30 kg) si è registrato un valore di potenza media pari a 400 W , durante la seconda prova effettuata con un carico pari al 50% del carico massimo dinamico (50 kg) la potenza media registrata è stata uguale a 650 W, infine nell’ultima prova eseguita con un carico pari all’85% del carico massimo dinamico (85 kg) la potenza media registrata è stata di 864 W. Calcolando il vertice della parabola che è possibile costruire attraverso i dati registrati durante il test, otteniamo il carico con il quale è possibile esprimere la massima potenza (pari 60.5 kg) ed il valore di quest’ultima (683.5 W). Un metodo semplice e pratico per calcolare il picco di potenza ed il carico da utilizzare per produrla in qualsiasi tipo di esercitazione (Bisciotti, 1999).

L’esercitazione adottata come test di verifica può essere effettuata , sia in catena cinetica aperta (leg extension), oppure chiusa (pressa o squat), l’esercizio più interessante è senza dubbio il semi-squat, dato l’importante sinergismo muscolare che mette in atto.

 

 

Per chi volesse saperne di più…..

Bisciotti GN. Nouvelle méthodes d’évaluation et d’entraînement de la force musculaire chez l’homme en condition statiques et dynamiques. Thèse de Doctorat en Science et Technique de l’Activité Physique et Sportive, Université de Besançon (F), 1999.

Bisciotti GN. Teoria e Metodologia del Movimento Umano . Teknosporting Ed. , Ancona 2000.

Bisciotti GN., Sagnol JM., Filaire E. Aspetti bioenergetici della corsa frazionata nel calcio. SdS in corso di pubblicazione.

Andersen J, Schjerlin P., Saltin B. Muscle, gènes et performances. Pour la Science. Octobre 2000, pg 31-41.

Andersen J, Schjerlin P., Saltin B. Atleti si nasce o si diventa ? Le Scienze, Novembre 2000 pg 48-57.

   
                     
                     
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