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  Prima Pagina
       
   
Argomento:
Traumatologia sportiva
Data:
2003
Testata:
SdS. 58-59: 74-79, 2003
 

Aumento della resistenza contrattile e cambiamento della tipologia muscolare nella ricostruzione del legamento crociato anteriore
di Bisciotti Gian Nicola 1-5 , Combi Franco 2, Forloni Fabio 3, Petrone Nilton 4

  1. Ph.D, Centro Ricerche Innovazione Sportiva (CRIS) " Facoltà di Scienze dello Sport, Università di Lione (F).
  2. MD., Direttore Dipartimento Medicina Fisica e Riabilitativa Azienda Ospedaliera S.Gerardo, Monza (I).
  3. MD., Centro Universitario Studi e Ricerche In Medicina e Traumatologia dello Sport, Università di Milanoc
  4. Università Estacio de Sa, Rio de Janeiro (BR).
  5. Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie, Università di Torino (I).

Abstract

Nel presente studio sono stati considerati 13 soggetti la cui età, peso ed altezza erano rispettivamente 26 ± 2 anni (media ± deviazione standard), 72.3 ± 7.1 kg, 178.6 ± 4.7 cm, tutti praticanti attività sportiva ed aventi subito una rottura isolata od associata del LCA trattata chirurgicamente tramite ricostruzione artroscopica. Ad ogni soggetto è stato richiesto di effettuare una contrazione isometrica a carico del quadricipite femorale dei due arti inferiori ad un intensità pari al 50% della forza massimale isometrica sino ad esaurimento muscolare completo. I tempi di mantenimento della contrazione a carico dell’arto leso e dell’arto sano sono state rispettivamente di 60.00±14.14 secondi (range 82.55 — 41.99 secondi) e 46.63±11.85 secondi (range 74.0 — 43.0 secondi). La differenza, pari al 21.84±8.42%, è risultata essere statisticamente significativa (p<0.002). L’aumento delle capacità di resistenza muscolare dell’arto patologico è probabilmente da imputarsi ad un’atrofia selettiva delle fibre di tipo II ed ad una conversione della tipologia delle fibre stesse da tipo II a tipo I. Inoltre i valori desunti da tale studio sono stati proposti come parametro valutativo dei protocolli di lavoro fisioterapico dopo intervento ricostruttivo di LCA.

Parole Chiave

Legamento crociato anteriore, resistenza muscolare, plasticità muscolare , riabilitazione.

Il ruolo biomeccanico del LCA

Il legamento crociato anteriore (LCA) ha origine dalla zona pre-spinale del tratto tibiale e raggiunge , con un tragitto obliquo diretto verso l’alto, la zona più alta e posteriore della faccia mediale e del condilo laterale del femore. Da un punto di vista anatomico è costituito da due fasci: il fascio antero- mediale, che risulta maggiormente lungo e voluminoso ed è a stretto contatto con il legamento crociato posteriore (LCP), ed il fascio postero-laterale, di dimensioni minori e che risulta quasi completamente coperto dal fascio antero-mediale. Dal punto di vista funzionale i due fasci hanno un comportamento diverso, il fascio antero-mediale infatti, a ginocchio flesso, sopporterebbe la maggior parte del carico sui tre piani spaziali. Per ben capire la funzione del LCA occorre descrivere brevemente il meccanismo di base intercorrente tra la tibia ed il femore. Il movimento tra tibia e femore è una combinazione di rotolamento e scivolamento, e risulta un meccanismo piuttosto complesso che viene appunto realizzato grazie alla presenza del LCA e del LCP. Durante la flessione del ginocchio è il LCA che determina il passaggio dal meccanismo di rotolamento a quello di scivolamento, mentre nella fase di estensione è il LCP che determina la cinematica inversa. Se, semplificando molto da un punto di vista biomeccanica l’analisi del movimento del ginocchio, consideriamo solamente il meccanismo della flesso-estensione sul piano sagittale (in realtà il movimento è di tipo tridimensionale e contestualmente al movimento di flesso-estensione si verificano dei movimenti di rotazione), durante la flessione si verifica una intrarotazione della tibia, mentre durante l’estensione la tibia viene extraruotata ( Kapandji, 1983).Se consideriamo il femore fisso e la tibia mobile (ossia una catena cinetica aperta), durante la flessione, che viene determinata dalla contrazione degli ischio-crurali, avremmo un impegno del LCP, mentre durante l’estensione, provocata dalla contrazione del quadricipite, il lavoro sarà a carico del LCA. Se al contrario consideriamo la tibia fissa ed il femore mobile, come nel caso d’appoggio del piede al suolo (catena cinetica chiusa) il quadricipite sarà attivo, sia durante l’estensione (attivazione concentrica), che durante la flessione (attivazione eccentrica) e l’impegno del LCA risulterà continuo. Fa eccezione a questa regola il caso in cui il quadricipite sia attivato a ginocchio flesso, in questo caso la tibia viene spinta posteriormente e le sollecitazioni sul LCA diminuiscono. Per cui, sul piano sagittale, il LCA ed il LCP stabilizzano l’articolazione del ginocchio in senso antero-posteriore, in particolare il LCA si oppone alle eccessive traslazioni anteriori della tibia e sulle trazioni posteriori del femore sulla tibia quando quest’ultima risulti fissa, mentre il LCP contiene le eccessive traslazioni posteriori della tibia rispetto al femore.

Figura 1: L’insieme delle strutture legamentose che costituisce il cosiddetto pivot centrale.1) Legamento crociato anteriore. 2) Legamento crociato posteriore. 3) Legamento collaterale mediale. 4) legamento collaterale laterale.

Come può verificarsi il danno strutturale

Il danno strutturale del LCA non è necessariamente correlato alla pratica dell’attività sportiva, possono infatti incorrere in questa patologia individui di ogni età anche non praticanti alcuna forma di attività sportiva e ricreativa, seppur ovviamente la maggior percentuale d’insorgenza lesiva risulta correlata all’attività fisica. Oltre il 60% delle lesioni acute del LCA è in effetti da mettersi in relazione alla pratica sportiva, inoltre è da considerarsi che nelle lesioni acute del ginocchio che evidenzino un subitaneo emartro (raccolta di sangue entro la cavità articolare), il LCA è coinvolto nel 72% dei casi (Noyes e coll., 1980). Gli sport maggiormente a rischio sono il calcio, lo sci, la pallavolo ed il basket. Nello sci ad esempio le fratture della tibia e le distorsioni di caviglia sono diminuite del 90% mentre le distorsioni del ginocchio con interessamento dei legamenti sono passate dal 3% del 1982 al 29% del 1993 (Warme e coll, 1995). Questa diminuzione, sia dei danni distorsivi alla caviglia, che delle fratture tibiali, associata all’impennata della patologia legamentosa, sembrerebbe essere legata all’utilizzo dei nuovi materiali che si sono diffusi sul mercato.

I meccanismi che risultano come frequenza maggiormente associati alla lesione totale o parziale del LCA sono:

  • L’extra-rotazione in valgo
  • La flessione del ginocchio associata all’intrarotazione
  • L’iperestensione associata all’intrarotazione

In questi casi il legamento può cedere istantaneamente, in meno di due centesimi di secondo circa, è quindi di fatto impossibile per l’atleta effettuare una risposta muscolare correttiva di tipo volontario che richiederebbe tempi maggiori di 200 millisecondi, questo fattore costituisce un punto di focale importanza nel protocollo riabilitativo.

Al momento della lesione normalmente sono legate sensazioni specifiche da parte del paziente, come una sensazione di "schiocco" o di rottura all’interno dell’articolazione del ginocchio, associate ad un cedimento ed ad una difficoltà di deambulazione. E’ inoltre interessante notare come una recente ricerca abbia dimostrato che le lesioni al LCA nel calcio siano fortemente correlate a terreni molto asciutti (Orchard e coll., 2001). In una percentuale, peraltro molto bassa, dei casi, è anche possibile, dopo un certo periodo dall’evento lesivo, ritornare all’attività sportiva, durante la quale peraltro l’atleta avverte una continua sensazione d’instabilità articolare.

La diagnosi del danno legamentoso avviene essenzialmente attraverso due tipi d’indagine: la valutazione clinica e l’indagine strumentale. Nella valutazione clinica l’operatore cerca di stabilire l’entità della lassità legamentosa, sia in senso anteriore-posteriore, attraverso il Lachman test ed il test del cassetto anteriore, sia in senso rotatorio, grazie al jerk test ed al pivot shift test.

La conferma della lesione del LCA avviene solitamente grazie all’analisi strumentale che si basa soprattutto sulla risonanza magnetica nucleare (RMN). Recentemente alcuni lavori scientifici (Chylarecki e coll., 1996) riportano di diagnosi effettuate grazie all’esame ecografico, anche se questo tipo d’indagine nell’ambito delle lesioni al LCA deve essere ancora scientificamente confermato.

Il trattamento di una lesione di LCA

Il trattamento della lesione del LCA può essere di due tipi; conservativo e chirurgico.

Il trattamento conservativo: un LCA lesionato può venire trattato in modo conservativo, evitando cioè d’intervenire chirurgicamente, tuttavia il trattamento conservativo è in grado di essere effettivamente efficace solamente in un limite ridotto dei casi, circa il 36% (Noyes e coll., 1983). A lungo termine la maggioranza dei pazienti presentano artrosi articolare e nel 51% dei casi si registra un nuovo evento traumatico entro 6-9 mesi. Per questi motivi, se nel corso del trattamento conservativo stesso, perdura una sintomatologia stabile, diviene d’obbligo ricorrere al trattamento chirurgico.

Il trattamento chirurgico: la tecnica chirurgica del LCA è notevolmente migliorata nell’arco degli ultimi 10 anni e la percentuale di riuscita ad oggi si aggira attorno al 90% dei casi. La ricostruzione può essere di tipo intra-articolare ed extra-articolare. La ricostruzione intra-articolare si differenzia in base al tipo di trapianto che vede l’utilizzo del tendine rotuleo (che costituisce il trapianto maggiormente utilizzato ossia il "gold standard"), del tendine del m. semitendinoso o del m. gracile, oppure un lembo di fascia lata. Le diverse tecniche di ricostruzione extra-articolare sono in effetti solamente delle plastiche di supporto che vengono effettuate utilizzando nella maggior parte dei casi la fascia lata. E’ in effetti improprio definirle delle vere e proprie tecniche di ricostruzione del LCA.

Nel caso in cui l’atleta sia stato sottoposto ad una tecnica ricostruttiva, sia di tipo intra-articolare, che extra-articolare, l’attività sportiva può essere di norma ripresa gradualmente dopo un idoneo programma riabilitativo della durata di circa 6 mesi..

Le conseguenze del danno biomeccanico e strutturale al LCA

Una delle caratteristiche peculiari degli infortuni al legamento crociato anteriore (LCA) è costituito dalla perdita di forza massimale a carico degli estensori della gamba sulla coscia sia nell’immediato periodo post-operatorio, che dopo un periodo di follow-up (Ardvisson e coll., 1981; Delitto e coll., 1988; Snyders-Mackler e coll., 1991; Wigerstad-Lossing e coll., 1988), mentre la perdita di forza a carico dei flessori appare molto più limitata ( St Clair Gibson e coll., 2000). La perdita della capacità di forza massimale dopo intervento a carico del LCA è riscontrabile, sia attraverso la modalità di contrazione isometrica (Delitto e coll., 1988; Wigerstad-Lossing e coll., 1988), che durante una contrazione di tipo isocinetico (Elmqvist e coll., 1988; Snyders-Mackler e coll., 1991; Tibone e Antich, 1988). Questo deficit di forza nell’arto leso è riscontrabile anche nel caso in cui il LCA non sia stato trattato chirurgicamente (Elmquvist e coll., 1988). Tuttavia occorre considerare come il deficit di forza presente nell’arto leso sia molte volte imputabile, per lo meno in parte, alla sensazione algica, riferita dal paziente durante una contrazione muscolare massimale che ponga in tensione il neo-legamento. Quest’eventualità è particolarmente ricorrente soprattutto nel caso in cui il test dinamometrico venga effettuato in catena cinetica aperta (OKC), modalità durante la quale la translazione anteriore di tibia, che si verifica in tale modalità di esercitazione, può comportare un importante tensionamento del neo-legamento stesso (Colonna, 1997). Oltre ad un deficit di forza contrattile, l’arto leso dopo ricostruzione del LCA, presenta normalmente una più o meno marcata atrofia a carico del quadricipite femorale (Jarvinen e Kannus, 1987, St Clair Gibson e coll., 2000.) e soprattutto a carico del vasto mediale obliquo (Bisciotti e coll., 2001). La forza massimale mostra, sino a certi livelli, una forte correlazione con la sezione trasversa muscolare, ciò non di meno nel caso di ricostruzione di LCA, la perdita di trofismo muscolare si mostra scarsamente correlata alla capacità contrattile del quadricipite femorale (Elmquvist e coll., 1988; Lorentzon e coll., 1989). Si potrebbe quindi ipotizzare che per lo meno una parte del deficit contrattile dell’arto leso sia imputabile, sia ad un cambiamento della tipologia metabolica e/o meccanica della fibra muscolare (Snyder-Mackler e coll. 1993), che ad un alterato pattern di attivazione delle unità motorie causato dal danneggiamento dei recettori sensoriali del LCA lesionato (Solomonow e coll., 1987; Solomonow e coll., 1987b). Oltre al decremento della forza massimale un altro parametro, riguardante sempre la contrattilità muscolare, che potrebbe risultare alterato dopo un intervento ricostruttivo di LCA, è la resistenza muscolare, ossia la capacità di un determinato gruppo muscolare di resistere alla fatica indotta da una contrazione prolungata (Mackler e coll., 1993). I pochi lavori reperibili in quest’ambito riferiscono di come la resistenza muscolare, intesa appunto come capacità di resistere ad una contrazione muscolare submassimale indotta attraverso elettrostimolazione, a carico del quadricipite femorale, sia maggiore nell’arto leso, dopo ricostruzione di LCA, rispetto al controlaterale sano (Snyders-Mackler e coll., 1991). Inoltre altri studi dimostrano come, dopo un intervento ricostruttivo di LCA ed il conseguente periodo di ipocinesia susseguente a quest’ultimo , avvenga, a carico del quadricipite femorale, una conversione di fibre muscolari da rapide (FT) a lente (ST) (McNair e Wood, 1993; Baugher e coll., 1984). Dal momento che un’alta percentuale di ST, comporta un aumento delle capacità resistive (Radzyukevich e coll., 1993; Thompson, 1994; Casey e coll., 1996.), si può avanzare l’ipotesi che un incremento delle capacita della muscolatura testata di resistere ad una contrazione sub-massimale prolungata, possa costituire un indice indiretto del grado di conversione della tipologia delle fibre muscolari. Lo scopo di questo studio è appunto quello di verificare e quantificare l’aumento delle capacità di forza resistente del quadricipite femorale dell’arto traumatizzato, in pazienti sottoposti ad intervento ricostruttivo di LCA, attraverso una contrazione sub-massimale volontaria protratta sino ad esaurimento muscolare completo. L’individuazione di questo valore medio potrebbe infatti costituire, a nostro avviso, un importante indice di riferimento in ambito riabilitativo.

Metodi

Soggetti

Nel presente studio sono stati considerati 13 soggetti la cui età, peso ed altezza erano rispettivamente 26 ± 2 anni (media ± deviazione standard), 72.3 ± 7.1 kg, 178.6 ± 4.7 cm, tutti praticanti attività sportiva (tabella 1) ed aventi subito una rottura isolata od associata del LCA trattata chirurgicamente tramite ricostruzione artroscopia (tabella 1).

Tutti i soggetti hanno mantenuto nel periodo del test la loro normale attività di riabilitazione fisioterapica. Nessuno di loro presentava patologie di tipo muscolare o neuromuscolare oltre a quella sopra citata.. Al momento dell’effettuazione del test i soggetti erano in 95°± 7° giornata post-operatoria ed avevano completamente recuperato la mobilità articolare dell’arto leso. Inoltre tutti i soggetti erano stati preventivamente informati sullo scopo della ricerca e sui possibili rischi ad essa connessi.

Protocollo

Dopo previo riscaldamento, ad ogni soggetto veniva richiesto di effettuare una serie di 3 contrazioni isometriche massimali a carico degli estensori in modalità di contrazione in catena cinetica chiusa (CKC), con angolo articolare al ginocchio standardizzato a 90° (figura 1). Ogni contrazione veniva mantenuta per una durata totale di 3" (Wilson e coll., 1995), il tempo di recupero tra ogni contrazione era fissato in 2’. Veniva assunto come valore di MIF il massimo valore di forza registrato dopo 600 ms di contrazione (Komi e Virmavirta; 1997). La modalità di contrazione in CKC è stata adottata allo scopo di evitare qualsiasi tipo di sintomatologia dolorosa che potesse falsare la misurazione della MIF. Durante il test nessun soggetto ha lamentato sensazioni dolorose di tipo articolare e/o muscolare. Nel corso delle misurazioni ogni soggetto era vincolato all’apparecchiatura tramite una cintura che lo bloccava a livello di L5 in modo tale da evitare ogni tipo di arco dorsale. La produzione di forza veniva misurata mediante una cella di carico a strain gauge (Mod. Erogometer, Globus Italia, sample rate 100 Hz, non linearity histeresis and repeatability 0.02 of RO, temperature compensated 0° to 50°, charge scale 0-300 kg). In seguito ad ogni soggetto veniva richiesto di mantenere, con la stessa modalità esecutiva adottata durante il test di MIF, una contrazione isometrica la cui intensità fosse pari al 50% della forza massimale isometrica (MIF 50%) preventivamente misurata allo stesso angolo articolare. Ogni contrazione veniva mantenuta sino a quando il valore di forza espressa non risultasse minore, per un periodo superiore a 3’’, al target prefissato. Durante l’esecuzione della contrazione, al soggetto veniva fornito un biofeedback di tipo visivo che gli permettesse di rimanere entro il target di produzione di forza prefissato (MIF 50% ±5%). La scelta di MIF 50% è stata dettata dal fatto che il mantenimento di questa percentuale di forza isometrica induce un affaticamento muscolare totale in tempi relativamente brevi, dell’ordine di circa 50’’ (Grabiner e coll., 1989; MacIntyre e coll., 1998; Merletti, 1990). I dati venivano acquisiti direttamente su di un software dedicato, che calcolava automaticamente il tempo di mantenimento della contrazione entro il target richiesto. Lo stesso tipo di misurazione è stato effettuato, in modo randomizzato, sia per l’arto patologico, che per il controlaterale sano.

Statistica

Per ogni variabile e condizione considerata sono stati calcolati gli indici statistici ordinari come media, deviazione standard e varianza. Le differenze tra i valori medi di forza massimale isometrica (MIF 100%) e di mantenimento della MIF 50% (con un range di tolleranza di ±5%) a carico dell’ arto leso e del controlaterale sano sono state testate attraverso un test non parametrico di Wilkoxon. La significatività statistica è stata fissata a p < 0.05.

Risultati

I valori di MIF 100% a carico dell’arto sano sono stati pari a 660.61±162.78 N

I valori di MIF 100% a carico dell’arto patologico sono stati pari a 433.66±132.62 N

La differenza, pari al 33.73±14.61%, è risultata essere statisticamente significativa (p<0.001).

I valori di mantenimento della MIF 50% nell’arto sano sono stati pari a 46.63±11.85 secondi (range 74.0 — 43.0 secondi).

I valori di mantenimento della MIF 50% nell’arto patologico sono stati pari a 60.00±14.14 secondi (range 82.55 — 41.99 secondi)

La differenza, pari al 21.84±8.42%, è risultata essere statisticamente significativa (p<0.002).

Discussione

La maggior resistenza muscolare dell’arto leso nei confronti del controlaterale sano ritrovata in questo studio (21.84±8.42%, p<0.002) è paragonabile anche se non perfettamente sovrapponibile a quella riportata da Lynn Snyders e coll. (1993) i quali riportano come la muscolatura estensoria dell’arto che abbia subito una ricostruzione di LCA, sia più resistente dell’11% (p<0.001) rispetto a quella dell’arto sano. La differenza riscontrabile tra i dati e senza dubbio da imputarsi al diverso protocollo di studio, che nel caso dello studio sopra citato prevedeva il mantenimento del 20% del valore di massima forza isometrica, attraverso una contrazione elettroindotta. Il dato interessante da sottolineare è che, indipendentemente dal tipo di contrazione considerata, volontaria od elettroindotta, la muscolatura estensoria dell’arto patologico, mostra in ogni caso una maggior capacita di resistenza contrattile nei confronti dell’arto sano. Questa differenza nelle caratteristiche di resistenza muscolare, può avvallare l’ipotesi, peraltro già avanzata da altri Autori, di una atrofia selettiva delle fibre di tipo II, dopo ricostruzione atroscopica di LCA (Lo Presti e coll., 1988; McNair e Wood, 1993; Baugher e coll., 1984) e di una conversione di fibre da tipo II a tipo I conseguente alla stimolazione cronica a bassa frequenza ( Pette, 2001; Buller e Pope, 1977; Dasse e coll, 1981; Pette, 1998) tipica del periodo riabilitativo post-operatorio. La conversione della tipologia delle fibre muscolari è fisiologicamente giustificabile dal fatto che anche nell’adulto le fibre stesse si mostrano in grado di cambiare la loro composizione molecolare, alterando in tal modo la loro espressione genica (Pette, 1998). Soprattutto le basse frequenze di scarica, tipiche dell’allenamento di resistenza muscolare e quindi anche dei programmi riabilitativi, possono indurre, sia nell’animale, che nell’uomo, se ripetute cronicamente e per periodi relativamente prolungati, una conversione, sia delle catene leggere (MLC), che di quelle pesanti (MHC) della miosina, dalla loro isoforma veloce a quella lenta (Leeuw e Pette, 1996; Pette, 1998). L’alterazione del pattern di attivazione nervoso determina infatti un cambiamento di tipo biochimico all’interno della fibra muscolare, causando quindi un cambiamento della sintesi delle differenti proteine contrattili (Buller e Pope, 1977). In questo tipo di meccanismo, il ruolo principale è appunto svolto dal pattern di impulso nervoso, anche se occorre comunque considerare l’importante ruolo esercitato da altri due fattori, costituiti dall’attività neuromuscolare e dal carico meccanico (Pette, 2001). La conversione delle fibre muscolari causata da questa catena di eventi si traduce in un incremento della resistenza muscolare nel corso di contrazioni prolungate (Aigner e Pette, 1992) associata ad una persistente attività dell’ATP fosforilasi (Pette e Dusterhoft, 1992; Andersen e Aagard, 2000). La possibile conversione tipologica di fibre da tipo II a tipo I, conseguente ad un evento post-operatorio come appunto la ricostruzione di LCA, è più probabilmente da imputarsi agli stimoli a bassa frequenza che il muscolo riceve durante il periodo riabilitativo, piuttosto che al periodo di immobilizzazione post-operatorio. E’ infatti noto come la muscolatura del quadricipite femorale, in pazienti paraplegici, mostri una predominanza di fibre di tipo II, conseguente alla perdita delle funzioni muscolari (Neumayer e coll., 1997; Round e coll., 1993). Questa predominanza di fibre di tipo II in un muscolo che abbia perso la propria funzionalità è probabilmente da imputarsi al fatto che la stimolazione elettrica da parte del SNC costituisce il fattore indispensabile per poter preservare l’isoforma lenta della MHC (Andersen e Aagard, 2000).

Questo cambiamento nella tipologia delle fibre potrebbe inoltre spiegare la ragione per cui la perdita di forza del quadricipite sia poco correlata con la sezione trasversa del muscolo dopo ricostruzione del LCA (Elmquvist e coll., 1988; Lorentzon e coll., 1989). Quindi considerando la maggior resistenza alla fatica delle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II (Round e coll., 1993; Radzyukevich e coll., 1993; Mackler e coll., 1993), l’aumento delle caratteristiche di resistenza della muscolatura estensoria dell’arto leso, ritrovato in questo studio, potrebbe essere il testimone indiretto di un atrofia selettiva di fibre di tipo II e di una conversione della tipologia di fibre da tipo II a tipo I. Un’eccessiva atrofia di fibre di tipo II unita ad una massiccia conversione di fibre da tipo II a tipo I, potrebbe rivelarsi nefasta soprattutto in attività sportive come lo sprint ed i salti, ma anche nell’ambito di sport di squadra come il calcio, dove le repentine e frequenti azioni di cutting richiedono un rapido e massivo reclutamento di fibre di tipo II (Greeenhaff e coll., 1994; Casey e coll., 1996). Il valore di aumento percentuale di resistenza muscolare ritrovato in questo studio, facilmente registrabile attraverso un test di tipo isometrico, potrebbe quindi costituire un importante parametro di riferimento in ambito fisioterapico nei protocolli riabilitativi di LCA. Dal momento infatti che la plasticità biologica propria del muscolo permette la reversibilità dei cambiamenti strutturali indotti in quest’ultimo (Pette, 2001; Myashita, 1988), il superamento di tale parametro potrebbe suggerire l’introduzione nel piano di lavoro, soprattutto degli atleti di particolari discipline, di esercitazioni specifiche che inducano un reclutamento preferenziale di fibre di tipo II, in modo tale da riequilibrare la situazione tipologica muscolare dei due arti.

Sport practicato

Frequenza

Football

10

Basket

2

Judo

1

 

Totale 13

Tavola 1: la distribuzione dei soggetti in funzione dello sport praticato

Tipo di trauma

Frequenza

Rottura isolata del LCA

8

Rottura del LCA associata a lesione di secondo grado al LCM

2

Rottura del LCA associata a lesione del menisco mediale e laterale

1

Rottura del LCA associata a lesione del menisco laterale

2

 

Totale 13

Tavola 2: la distribuzione dei soggetti in funzione della lesione sofferta

Figura 2: l’apparecchiatura utilizzata nel test. 1) Sbarra scorrevole 2) Cella di carico

 

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