scienza e sport
 
     


 
 
locandina Sezioni Tematiche
 
 
         
 
   
  Prima Pagina
       
   
Argomento:
Fisiologia e biomeccanica
Data:
2005
Testata:
SdS. Anno XXIV, 66: 53-59, 2005
 

Aspetti neurofisiologici ed applicativi dell'allenamento
vibratorio

di Gian Nicola Bisciotti Ph. D.

Centro di Ricerca e d’Innovazione per lo Sport, Facoltà di Scienze dello Sport dell’Università Claude Bernard di Lione (F)

Abstract: Gli effetti della somministrazione controllata di vibrazioni sul corpo umano sono noti sin dal 1949, data del primo lavoro scientifico nell’ambito specifico. Tuttavia, solamente quaranta anni più tardi fu scientificamente riconosciuto il valore terapeutico delle vibrazioni per ciò che riguarda il loro effetto osteogenico, che giustifica la loro applicazione in medicina geriatrica in senso generale ed in alcune patologie specifiche come l’osteoporosi. Inoltre, recentemente gli effetti fisiologici indotti dalle vibrazioni, sono stati sfruttati per indurre particolari adattamenti, in termini di aumento della forza contrattile nei suoi vari aspetti, anche in campo sportivo. Lo scopo di questa review è quello di definire i vari campi applicativi dell’allenamento vibratorio e di chiarire i principi fisiologici che giustificano il loro razionale di utilizzo.

Introduzione

Quotidianamente, probabilmente nella maggior parte dei casi senza nemmeno rendercene conto, il nostro corpo è sottoposto a vibrazioni di differente tipo, basti pensare a quando viaggiamo in autobus, in treno, oppure in automobile, solamente per citare i casi più ordinari. Molte altre categorie di persone invece, sottopongono il loro corpo a vibrazioni di ben altro genere, come quelle causate da macchinari quali i veicoli pesanti, i martelli pneumatici, oppure molti altri utensili manuali. Esattamente come per il caso del nostro apparato acustico, che può captare suoni piacevoli oppure estremamente sgradevoli, il nostro corpo può essere sottoposto a vibrazioni del tutto gradevoli, come ad esempio il leggero beccheggio od il piacevole rollio di una barca, oppure decisamente spiacevoli, come nel caso in cui si percorresse una strada dissestata con un mezzo scarsamente ammortizzato. Da un punto di vista meccanico, possiamo affermare che un corpo vibra quando quest’ultimo descrive un movimento di tipo oscillatorio intorno ad una posizione di riferimento. Se prendiamo come esempio un modello meccanico costituito da un corpo di massa m, che sia vincolato ad una molla la cui costante elastica viene indicata con K e lo poniamo in oscillazione, potremo osservare come la massa m si muova con regolarità nei confronti della posizione di equilibrio statico. Inoltre, potremo notare come il movimento osservabile abbia un carattere periodico, in altre parole, ad intervalli di tempo regolari si riprodurrà eguale a se stesso (figura 1)

 

 

Figura 1: in un sistema costituito da una massa vincolata ad una molla e posto in oscillazione si produrrà un movimento regolare di carattere periodico.

In figura 1 è rappresentata quella che può essere definita come la più semplice delle funzioni periodiche, ossia il "moto armonico". L’andamento in funzione del tempo di questa funzione è rappresentato da un onda di tipo sinusoidale descrivibile dalla sua ampiezza D e dal suo periodo T.

Il numero dei cicli completi compiuti durante l’unità di tempo, ossia durante un secondo, è detto frequenza, la quale viene misurata in Hertz (Hz). La frequenza è legata matematicamente al periodo T attraverso la seguente relazione:

f = 1/T

Dove f è la frequenza espressa in Hz e T il periodo espresso in secondi.

Per cui ad esempio ad un periodo di 0,04 secondi corrisponderà un frequenza di 25 Hz.
Le vibrazioni possono essere suddivise in due gruppi principali: le vibrazioni deterministiche e le vibrazioni random.
Appartengono al primo gruppo tutte le vibrazioni che possono essere descritte grazie a delle espressioni matematiche in grado quantificare le variazioni, in funzione del tempo, dei valori istantanei d’ampiezza. Tipiche di questo gruppo sono le vibrazioni provocate dai macchinari di tipo meccanico (fig. 2).

Fig 2: le vibrazioni provate dalle strumentazioni meccaniche costituiscono tipici esempi di vibrazioni deterministiche.

I fenomeni appartenenti al secondo gruppo, ossia le vibrazioni random, possono al contrario essere descritti solamente attraverso dei parametri statistici, dato che costituiscono fenomeni vibratori il cui andamento nel tempo descrive un moto irregolare e del tutto casuale, tale da rendere impossibile la previsione del suo valore istantaneo. Una carriola di sassi che viene svuotata costituisce un tipico esempio di vibrazioni random (figura 3).

Figura 3: le vibrazioni random sono fenomeni irregolari ed imprevedibili come nel caso della caduta di un carico di sassi (riquadro A). Ai fenomeni non periodici appartengono anche gli shock meccanici, causati da improvvisi rilasci d’energia, come nel caso di un esplosione oppure di un impatto: la loro durata è tipicamente infinitesimale, tendente a zero (riquadro B).

Riconsideriamo ora il sistema meccanico massa-molla, descritto in figura 1 e poniamolo in oscillazione avendo come riferimento un punto x posto sulla massa m. Nel momento in cui il sistema oscilla il punto x si sposta di un certo valore (misurabile in metri, millimetri, oppure micron nel caso di spostamenti di ridottissima ampiezza). Questo spostamento viene compiuto in un certo tempo, da questo consegue che si possa considerare la sua dinamica anche in termini di velocità e d’accelerazione (figura 4). L’accelerazione, come vedremo in seguito, costituisce uno dei parametri cruciali dell’allenamento vibratorio (AV).

 

Figura 4: in un sistema in oscillazione sono misurabili, oltre che la frequenza e l’ampiezza dell’oscillazione, i parametri di velocità e d’ accelerazione.

L’esposizione alle vibrazioni può avere serie ripercussioni sull’organismo umano ed animale, non a caso esistono delle normative ben precise a questo proposito nell’ambito della medicine del lavoro; tuttavia il punto cruciale concernente la positività o la negatività dell’esposizione alle vibrazioni è costituito dalla loro frequenza ed ampiezza nonché dalla durata dell’esposizione stessa. I risultati degli studi scientifici in proposito, indicano come un periodo d’esposizione ridotto ed una frequenza di vibrazione dell’ordine di 20-30 Hz non solo non comportino alcun effetto negativo a livello organico, ma come, al contrario, possano indurre un positivo adattamento neuromuscolare (Kerschan-Shindl e coll., 2001).

Storiografia

I primi lavori scientifici riguardanti l’utilizzo delle vibrazioni a scopo terapeutico sull’uomo risalgono al 1949, quando Whedon e coll. (1949), riferirono degli effetti positivi ottenuti grazie all’applicazione di vibrazioni generate da uno speciale letto oscillante, sulle anormalità metaboliche di pazienti allettati in immobilizzazione gessata. Un successivo studio sperimentale (Hettinger, 1956), dimostrò come la somministrazione di vibrazioni di frequenza pari a 50 Hz, e generanti un accelerazione pari a 10 g, fossero in grado di aumentare l’area di sezione muscolare, nonché di diminuire il tessuto adiposo all’interno del muscolo stesso. In campo prettamente terapeutico, quasi quaranta anni più tardi, Schiessl (1997a,b) brevettò l’utilizzo di un macchinario capace di generare oscillazioni di tipo rotazionale, sempre nello stesso periodo Fritton e coll. (1997) misero a punto una macchina basata sulle oscillazioni di tipo traslatorio. In entrambi i casi il campo applicativo di queste apparecchiature era quello di tentare d’ottenere una stimolazione sulla crescita ossea, grazie a delle specifiche frequenze che potremmo definire con il termine di "osteogeniche". Un anno più tardi i lavori sperimentali di Flieger e coll. (1998), dimostrarono come nell’animale sottoposto a vibrazioni si registrasse un incremento nella proliferazione ossea. Solamente alla fine degli anni ’80 comparvero i primi studi riguardanti il possibile incremento delle capacità contrattili dei muscoli sottoposti a sollecitazioni di tipo vibratorio (Nazarov e Spivak, 1987), da allora le ricerche in questo specifico campo si sono fatte sempre maggiori ed esaustive.

I cambiamenti fisiologici indotti dall’AV

Recentemente molti studi testimoniano di come le vibrazioni inducano delle risposte adattive da parte dell’apparato neuromuscolare umano sia di tipo metabolico che meccanico. Da tempo è nota la correlazione esistente tra la specificità della disciplina sportiva praticata ed il profilo ormonale dell’atleta: atleti praticanti discipline di tipo esplosivo-balistico, come ad esempio gli sprinter, possiedono un alta concentrazione basale di testosterone (T) (Kraemer e coll., 1995; Bosco e coll, 1996). L’esercizio infatti è in grado d’indurre una significativa risposta ormonale, non solo in termini d’adattamento acuto all’esercizio stesso, ma anche sotto forma di riposta a lungo termine nei confronti di quest’ultimo (Inoue e coll., 1994; Viru, 1994; Kraemer e coll., 1996). Anche l’AV è in grado d’indurre simili risposte ormonali di tipo adattivo, specificatamente una seduta di AV provoca un aumento della concentrazione di T ed ormone somatotropo (GH) contestualmente ad una diminuzione della concentrazione di cortisolo (C) (Bosco e coll., 2000). L’aumento di T e GH è riconducibile all’azione dei metaborecettori muscolari (Kjaer, 1992), mentre la diminuzione del C è probabilmente da imputarsi ad un’insufficiente effetto stimolatorio del comando motorio centrale e del feedback nervoso a livello della muscolatura scheletrica (Knigge e Hays, 1963; Bosco e coll., 2000). Sembrerebbe quindi che l’AV, se opportunamente reiterato, possa indurre degli adattamenti ormonali stabili che testimonierebbero di un altrettanto stabile adattamento, in termini migliorativi, della funzione neuromuscolare (Bosco e coll., 2000).

Un altro effetto provocato dalle vibrazioni meccaniche, applicate al ventre muscolare e/od alla struttura tendinea (10-200 hz), oppure all’intero corpo (1-30 Hz), è l’attivazione dei recettori dei fusi neuromuscolari (muscle spindle receptors), sia a livello del complesso muscolotendineo direttamente sollecitato, che dei gruppi muscolari adiacenti (Hagbarth e Eklund, 1985; Seidel, 1988). Questo tipo di risposta da parte del muscolo alla sollecitazione vibratoria viene definito con il termine di "riflesso tonico da vibrazione" (RTV) (Hagbarth e Eklund, 1966). E’ scientificamente ampiamente documentato il fatto che il RTV induca un aumento della forza contrattile dei gruppi muscolari coinvolti (Hagbarth e Eklund, 1966; Johnston e coll, 1970; Arcangel e coll., 1971; Armstrong e coll., 1987; Matyas e coll., 1986; Samuelson e coll., 1989; Bosco e coll., 2000). Questo aumento della capacità contrattile del gruppo muscolare sottoposto a vibrazioni, si traduce in un evidente spostamento verso destra sia della relazione forza-velocità , che di quella forza-potenza (figura 5), che vengono in tal modo fortemente influenzate positivamente (Bosco e coll., 1999). Questi cambiamenti nella risposta neuromuscolare sono da attribuirsi principalmente all’aumento dell’attività dei centri motori superiori (Milner-Brown e coll., 1975) ed al sostanziale miglioramento dei comandi nervosi che regolano la risposta neuromuscolare (Bosco e coll., 1998). In effetti, il complesso muscolotendineo sottoposto a vibrazione sopporta dei modesti, ma comunque significativi, cambiamenti della propria lunghezza, di tipo ritmico (Kerschan-Shindl e coll., 2001), che fanno si che l’AV sia sostanzialmente assimilabile ad un cadenzato susseguirsi di contrazioni concentriche ed eccentriche di piccola ampiezza (Rittweger e coll., 2001). Questo particolare comportamento meccanico potrebbe indurre una facilitazione nell’eccitabilità del riflesso spinale (Burke e coll, 1996). A questo proposito, alcuni Autori (Burke e coll., 1976) avanzano l’ipotesi che il RTV operi in modo predominante, se non esclusivo, attraverso gli a motoneuroni e non utilizzi gli stessi patterns corticali efferenti di cui si avvale il movimento volontario. Tuttavia, è anche possibile ipotizzare che il RTV, indotto dalle vibrazioni stesse, induca un aumento del reclutamento delle unità motorie tramite un attivazione dei fusi neuromuscolare ed i pattern di attivazione polisinaptici (De Gail e coll., 1966). Contestualmente e coerentemente a questo particolare adattamento neuromuscolare, l’AV provoca una diminuzione del rapporto intercorrente tra segnale mioelettrico di superficie e produzione di potenza, ossia della ratio EMG/P. Un decremento della ratio EMG/P indica verosimilmente un miglioramento nell’efficienza neuromuscolare (Bosco e coll., 2000). Un ultimo, ma non meno importante parametro fisiologico sul quale le vibrazioni possono influire è costituto dalla circolazione sanguigna, l’AV può infatti determinare una riduzione della viscosità del sangue ed un aumento della velocità media del flusso circolario (Kerschan e coll., 2001).

 

 

A

B

Figura 5: L’ aumento della capacità contrattile dei distretti muscolari sottoposto ad AV, si traduce in un sostanziale ed evidente spostamento verso destra sia della relazione forza-velocità (riquadro A), che di quella forza-potenza (riquadro B), che subiscono in tal modo un forte incremento positivo.

L’applicazione delle vibrazioni in medicina geriatrica

Uno degli ambiti d’intervento primari della medicina geriatrica è costituito dalla ricerca di strategie atte al raggiungimento dell’indipendenza funzionale del paziente ed al raggiungimento di una qualità di vita soddisfacente e/o comunque ad un suo miglioramento.

Gli obbiettivi principali che queste strategie si pongono in termini concreti, sono la diminuzione e la prevenzione del disagio funzionale normalmente correlato all’età anagrafica del paziente, oltre che la restituzione dell’indipendenza funzionale del paziente stesso dopo che quest’ultimo abbia attraversato un periodo di malattia acuta. L’indipendenza funzionale in questi casi costituisce il fattore cruciale in grado di determinare la qualità ed il tipo d’intervento, anche perché il concetto stesso d’indipendenza funzionale è fortemente condizionato dalle aspettative di qualità di vita da parte del soggetto. A questo proposito è importante sottolineare come alcuni studi sottolineino la differenza intercorrente tra l’aspettativa di vita, espressa in termini di longevità, della popolazione femminile, e l’aspettativa formulata in termini d’efficienza fisica da parte della stessa. Infatti se da una parte è ben nota l’alta aspettativa di vita della popolazione femminile in termini d’età, appare quanto meno controverso e problematico il fatto che, per ciò che riguarda l’aspettativa d’efficienza fisica, la popolazione maschile raggiunga livelli decisamente superiori (Runge e coll., 2000). Questa sproporzionalità tra longevità ed efficienza funzionale nella popolazione femminile è stata spesso definita con il termine di "paradosso gerontologico". Il fattore chiave nella determinazione della funzionalità dell’apparato locomotore in età geriatrica è costituito dalla funzionalità muscolare degli arti inferiori, seguito dalla mobilità muscolo-articolare, dalla biomeccanica del cammino e dall’equilibrio statico e dinamico (Guralnick e coll., 1995). Tuttavia, alcuni Autori suggeriscono come il fattore cruciale al fine di prevenire perdite d’equilibrio che possano causare cadute durante la deambulazione, sia la potenza muscolare, ossia il prodotto tra la velocità e la forza muscolare sviluppata durante il movimento stesso (Range e coll., 2000). La capacità della muscolatura degli arti inferiori nel generare potenza può quindi, a giusta ragione, essere considerato come il fattore cruciale nella prevenzione delle cadute nel soggetto anziano. L’incidenza delle fratture d’anca dovuta alle cadute, raggiunge infatti nella popolazione anziana, cifre drammatiche, dell’ordine del 90% e questo senza considerare le cosiddette fratture d’anca "osteoporotiche". Un fattore importante a questo proposito e che merita senza dubbio d’essere citato, è costituito dal fatto che la forza generabile da un complesso muscolare è comunque fortemente correlata allo sviluppo della massa ossea ed alla sua capacità di resistenza meccanica, in conformità a quanto enunciato dal paradigma di Utah (Frost e coll., 2002). Inoltre, la situazione di precarietà funzionale, dovuta al deficit muscolare e capace di ingenerare un alto rischio d’evento traumatico viene, nel soggetto anziano, ulteriormente aggravata nel caso di un sovraccarico ponderale (Pinilla e coll., 1996). Dal momento che le fratture d’anca costituiscono uno dei traumi più tragici in grado di’influenzare pesantemente le aspettative di vita del soggetto anziano, oltre naturalmente al suo declino funzionale, diviene imperativa, nell’ambito della medicina geriatrica, la ricerca di tutta una serie di strategie atte alla prevenzione ed alla diminuzione di tale evento. La prevenzione delle cadute quindi ricade esattamente in questo ambito , dal momento che questa ultime, come prima sottolineato, costituiscono il principale fattore di rischio. Mettere il soggetto anziano in condizione di poter prevenire un’eventuale caduta dalla posizione eretta, significa metterlo in grado di poter avere una rapida ed efficace risposta neuro-muscolare che si adatti perfettamente alla perturbazione dell’equilibrio subita (Guralnick e coll., 1995; Cummings e coll., 1995). Recenti studi (Range e coll., 2000) hanno dimostrato come, su di una popolazione anziana (139 donne e 73 uomini di età media 70,5 ± 6,78 anni, range compreso tra 60 e 90 anni) un programma d’allenamento della durata di due mesi, basato sulla somministrazione di vibrazioni generate da una piattaforma ad asse sagittale (Galileo 2000, Novotec Pforzheim, Germany), attraverso i seguenti parametri: frequenza delle vibrazioni pari a 27 Hz, ampiezza delle oscillazioni laterali di 7-14 mm, durata dell’allenamento pari a 3 serie di 2’ ciascuna, con cadenza trisettimanale, fosse in grado di migliorare la potenza degli arti inferiori, misurata attraverso un test specifico di sollevamento dalla posizione seduta, di ben il 36%. Questi dati ci dimostrano come l’AV sia in grado di spezzare il circolo vizioso che tipicamente s’instaura in una popolazione anziana, creato dal fatto che nel paziente geriatrico la forza è strettamente dipendente dalle caratteristiche meccaniche della struttura ossea, fattore quest’ultimo, in costante decadimento con l’avanzare dell’età. Oltre a ciò, non bisogna dimenticare il fatto che normalmente il paziente anziano non presenta una grande compliance nei confronti di un programma di condizionamento fisico, soprattutto se quest’ultimo, allo scopo di ottenere i migliori risultati, risulti essere di una certa intensità (Delecluse e coll., 2003). In questi casi l’AV si dimostra particolarmente efficace proprio grazie al suo alto potenziale terapeutico nell’ambito di un contesto particolare come quello geriatrico. L’AV infatti, deve essere considerato a tutti gli effetti alla stessa stregua di un esercizio attivo. L’obiezione, spesso posta, che l’AV provochi solamente una sorta di "spostamento passivo" della struttura ossea senza alcun coinvolgimento muscolare, è stata infatti smentita da alcuni recenti studi che dimostrerebbero, come durante l’AV stesso, sia registrabile un aumento della captazione di O2 da parte della muscolatura coinvolta, a testimonianza del suo coinvolgimento attivo (Rittweger e coll., 2000; 2001). L’AV, in ultima analisi, deve essere considerato come un’attività nel corso della quale la muscolatura coinvolta viene sollecita attraverso una rapida successione di brevi ed intense contrazioni eccentriche e concentriche (Rittweger e coll., 2001). Inoltre, dato il coinvolgimento attivo della muscolatura sottoposta a tale tipo di sollecitazione, l’AV comporta un costo energetico ben quantificabile, ad esempio un AV basato su di una frequenza di 26 Hz e con 6 mm d’ampiezza oscillatoria, comporta un costo energetico paragonabile a quello del cammino moderato (Zamparo e coll., 1992), oltretutto questo costo energetico può essere incrementato aumentando la frequenza e l’ampiezza delle vibrazioni stesse (Rittwerger e coll., 2000).

L’applicazione delle vibrazioni nella terapia dell’osteoporosi

L’osteoporosi è un osteopatia metabolica ad eziologia complessa, caratterizzata da una riduzione localizzata o generalizzata di tessuto osseo, la cui matrice osteoide, a seguito di uno squilibrio tra velocità di sintesi e velocità di degradazione, pur rimanendo normalmente mineralizzata, risulta essere quantitativamente ridotta. All’esame radiologico sono evidenziabili una rarefazione ossea, un assottigliamento ed una riduzione numerica delle trabecole, nonché un aumento degli spazi midollari. Si distingue una forma senile e post-menopausale, ed una forma secondaria ad immobilizzazione prolungata od a disturbi endocrini. In particolare, nella popolazione femminile, il deficit di estrogeni che si registra nel periodo della menopausa, causa un accelerato turnover osseo ed una perdita di massa ossea (Flieger e coll., 1998; Stepan e coll., 1987), per questo motivo l’osteoporosi colpisce una donna su quattro, mentre nella popolazione maschile il rapporto è di un uomo su otto. L’osteoporosi s’accompagna a dolorabilità ossea, deformità scheletriche (in particolare cifosi), e ad una maggiore predisposizione alle fratture. Questa patologia ha ormai assunto, dato il progressivo aumento dell’età media della popolazione, le dimensioni di un vero e proprio problema socio-economico, che affligge la popolazione anziana su scala planetaria (Flieger e coll., 1998), solamente in Italia il costo sociale di questa malattia ammonta a cinquecento milioni di Euro annui. L’esercizio fisico è fortemente raccomandato ai pazienti afflitti da osteoporosi, sia nell’ambito del suo trattamento, che come forma di terapia preventiva (Flieger e coll, 1998). In effetti, la fisiologica stimolazione meccanica indotta dall’esercizio, si rivela particolarmente utile sia nel limitare la perdita ossea, che nello stimolare l’incremento della massa ossea stessa (Dalsky e coll., 1998; Smith e coll., 1989). La spiegazione del benefico effetto dell’esercizio fisico, risiederebbe nel fatto che la struttura ossea sottoposta ad un alto livello di stress meccanico, come nel caso dell’esercizio intenso, sarebbe in grado di sopprimere il meccanismo di rimodellamento osseo facilitandone in tal modo il processo conservativo (Frost , 1987; Frost, 1988; Frost, 1992). Tuttavia, solamente esercitazioni intense e prolungate si dimostrano in grado d’influenzare positivamente la densità minerale della massa ossea (BMD), esercizi che quindi mal si adattano, proprio a causa della loro intensità e durata, ad una popolazione anziana (Chestnut, 1993; Gutin e Kasper, 1992). L’AV, al contrario, permette una sollecitazione intensa dell’apparato scheletrico e muscolare, senza richiede un alto grado d’impegno da parte del paziente, rivelandosi in tal modo una strategia d’intervento particolarmente adatta nel caso del paziente anziano osteoporotico (Flieger e coll., 1997). L’applicazione della terapia vibratoria è infatti in grado di interferire positivamente sul metabolismo osseo (Stepa e coll., 1987; Christiansen e coll., 1980; Seireg e Kempke, 1969; Elson e Watts, 1980), anche in presenza di una degenerazione osteoporotica ( Petrofski e Phillips, 1984; Flieger e coll., 1997; Rittwerger e coll., 2000). Data l’evidenza di come l’AV sia in grado di favorire un aumento della BMD, possiamo quindi affermare che quest’ultimo possa costituire un mezzo terapeutico d’elezione in medicina geriatrica nell’ambito delle terapia atte alla cura ed alla prevenzione dell’osteoporosi.

Vibrazioni e prestazione

Ad oggi sono numerosi gli studi inerenti i possibili effetti positivi dell’AV sulla prestazione. Bosco e coll. (1998) riferiscono di come un allenamento della durata di 10 giorni costituito dalla somministrazione di vibrazioni sinusoidali ad una frequenza di 26 Hz, in ragione di 5 serie giornaliere della durata di 90 secondi ciascuna, abbia portato ad un significativo incremento della produzione di potenza meccanica durante l’esercitazione di salti continui della durata di 5 secondi. Runge e coll. (2000) riferiscono di un aumento del 18% della potenza degli arti inferiori in una popolazione anziana sottoposta ad AV con le seguenti modalità: 3 sedute a settimana, 3 serie da 2 minuti alla frequenza di 27 Hz, per una durata complessiva di 12 settimane. Un altro recente studio (Torvinen e coll., 2002) riporta di un significativo aumento della prestazione di salto, pari all’8.5%, dopo 4 mesi di AV condotto su di un gruppo di adulti non-atleti. Decluse e coll. (2003) registrano, dopo un AV condotto rispettando i seguenti parametri: intensità e durata delle sedute progressiva (inizialmente 3’ portati a 20 alla fine del periodo d’allenamento), frequenza compresa tra 35 e 40 Hz, frequenza degli allenamenti trisettimanale, durata totale 12 settimane, un aumento significativo sia della forza isometrica, che di quella dinamica degli arti inferiori pari rispettivamente al 16.6 ed al 9.0 %. Alla luce di questi risultati, appare chiaro come l’AV comporti un adattamento biologico che risulta in ultima analisi essere correlato ad un effetto di potenziamento neurale, simile a quello indotto dall’allenamento di forza e/o di potenza. Recentemente alcuni Autori (Carrol e coll., 2001; Carrol e coll., 2002)hanno avanzato l’ipotesi che l’allenamento di forza possa modificare le connessioni tra le cellule corticospinali ed i motoneuroni spinali. Gli interneuroni dislocati nel midollo spinale ricevono input sia dalle fibre afferenti, che da quelle discendenti, oltre che dalle fibre di altri interneuroni, influenzando a loro volta l’attività dei motoneuroni. L’interazione di questi diversi input determina le modalità di reclutamento delle unità motorie nel corso del movimento. Durante l’AV questo pattern propriocettivo viene fortemente stimolato, l’incremento della forza che si registra dopo un periodo d’allenamento è in parte imputabile, soprattutto nel primo periodo in cui non si è ancora verificato alcun fenomeno ipertrofico, ad un’ottimizzazione di questo meccanismo di feedback propriocettivo (Gandevia, 2001). L’aumento transitorio della forza contrattile e della produzione di potenza da parte del muscolo dopo essere stato sottoposto a vibrazione potrebbe basarsi sugli stessi meccanismi di facilitazione neurale (Delecluse e coll., 2003). Inoltre alcuni studi dimostrerebbero come l’AV possa migliorare la capacità di forza esplosiva grazie ad una maggiore sincronizzazione delle unità motorie implicate movimento, oltre che ad un miglioramento della coordinazione dei muscoli sinergici unito ad un aumento dell’inibizione degli antagonisti (Bosco e coll., 2000). Tuttavia, è corretto ricordare come alcuni Autori riportino come l’effetto di potenziamento del gesto indotto dalle vibrazioni, sia di tipo transitorio e si vanifichi nell’arco di circa 60’ dopo la somministrazione delle stesse (Torvinen e coll., 2002; Delecluse e coll., 2003). Questa transitorietà del potenziamento provocato dalle vibrazioni può esser spiegato da due fattori: il primo dei quali è costituito dal fatto che il RTV induce un sostanziale ma temporaneo miglioramento dell’utilizzo del riflesso miotattico da stiramento (Delecluse e coll., 2003) ed il secondo invece basato sull’influenza positiva esercitata dal RTV nel facilitare la produzione di un’alta frequenza di scarico nelle unità motorie ad alta soglia d’attivazione, ossia quelle costituite da fibre di tipo FT (Bongiovanni e coll., 1990). E’ comunque importante sottolineare, che al di la di questo particolare aspetto, l’AV effettuato in maniera razionale e sistematica, può indurre positivi e duraturi adattamenti neuromuscolari (Bosco e coll., 1999). Un ulteriore interessante aspetto dell’AV è che attraverso quest’ultimo è possibile effettuare una stimolazione preferenziale delle fibre di tipo FT (Rittweger e coll., 2001). Questa selettività di reclutamento sarebbe dovuta al fatto che il RTV viene trasmesso grazie all’attivazione delle fibre Ia afferenti, le quali sono responsabili, tramite gli a motoneuroni, principalmente dell’attivazione delle fibre muscolari di tipo II (Hagbarth, 1973).In effetti durante l’AV il corpo subisce delle importantissime sollecitazioni accelerative, ad esempio ad una frequenza di 30 Hz con un ampiezza d’oscillazione di 5 mm, si è sottoposti ad un accelerazione pari a 18 volte l’accelerazione di gravità (Rittweger e coll., 2001), mentre in una classica esercitazione di Drop Jump (salto preceduto da una caduta verso il basso) l’accelerazione sviluppata risulta pari a solamente 5 g. Il fatto di essere sottoposti a forze accelerative di simile entità può risultare un fattore cruciale nel determinare un incremento della potenza espressa nelle azioni balistiche che, di fatto, sono caratterizzate dalla possibilità, da parte dell’atleta, di poter produrre importantissime forze accelerative (Bosco e coll., 2000). Sempre a questo proposito, al fine di sottolineare il potenziale d’efficacia dell’AV, basti pensare che 10 minuti di AV durante il quale si sia sottoposti ad un accelerazione di 17 g , corrispondono allo stesso carico accelerativo che si svilupperebbe effettuando per 40 sedute d’allenamento 200 drop jumps cadendo dall’altezza di 100 cm (Bosco e coll., 2000). Un ultimo importante aspetto delle vibrazioni è l’effetto miorilassante indotto da queste ultime a particolari frequenze di somministrazione (18-20 Hz) (Rittweger e coll., 2003). Questo particolare aspetto può essere di grande importanza al fine di ottimizzare e/o complementare i programmi di lavoro basati su tecniche di stretching, oppure in protocolli riabilitativi specifici, come nel caso ad esempio del lower back pain (Rittweger e coll., 2003; Rittweger e coll., 2002).

Conclusioni.

L’AV si presenta quindi particolarmente efficace in tre campi applicativi tra loro ben distinti:
nell’ambito delle strategie rivolte a particolari patologie geriatriche, come nel caso dell’osteoporosi, e comunque in tutti quei piani riabilitativi e non atti al miglioramento della qualità di vita, intesa in termini di livello di funzionalità articolare, muscolare e neuromuscolare, del soggetto d’interesse geriatrico.

Nel campo dell’allenamento sportivo, soprattutto quando quest’ultimo sia rivolto all’incremento dei livelli di forza esplosiva, rivelandosi di fatto un’ottima metodica alternative e/o complementare all’allenamento di forza classico (Delecluse e coll., 2003).

Come parte integrante di tutti i programmi in cui si ricerchi la massima estensibilità arto-muscolare nonché nei piani di lavoro rivolti a patologie algiche di carattere cronico che possano trarre beneficio da un incremento della compliance muscolo-tendinea (Rittweger e coll., 2002).

Tabella 1: sintesi dei possibili campi applicativi dell’allenamento vibratorio

 

 
  1. BIBLIOGRAFIA

    Anderson B. The perfect pre-run stretching routine. Runners Word. 13(5): 56-61, 1978.

    Sölveborn S.A. Das Buch vom Stretching. Beweglichkeitstraining durch Dhenen und Strecken. Monaco di Baviera, 1983.

    Heyward V.H. Designs for fitness. Minneapolis, 1984.

    Björklund M., Hamberg J., Crenshaw G. Sensory adaptation after a 2-week stretching regimen of the rectus femoris muscle. Arch Phys Med Rehabili. 82: 1245-1254, 2001.

    Alter M.J. Ciência della flexibilidade. Artmed Ed. Porto Alegre (Brasil), 1999.

    Alter M.J. Science of flexibility. Ed Human Kinetics. Champaign Ill., 1996

    Bisciotti G.N., Bertocco R., Gaudino C., Iodice P.P. Insulto traumatico e deficit elastico muscolare. Sport e Medicina. 6:35-39, 2001.

    Bisciotti G.N. Il corpo in movimento. Edizioni Corrrere. Milano, 2003.

    Maruyama K., Kimura S., Yoshidomi H., Sawada H., Kikuchi. Molecular size and shape of B-connectin, an elastic protein of striate muscle: Journal of Biochemistry. 95(5): 1423-1433, 1984.

    Kurzban G.P., Wang K. Giant polypeptides of skeletal muscle titin: sedimentation equilibrium in guanidine hydrocloride. Biochemical and Biophysical Research Communication. 150:1155-1161, 1988.

    Trinick J., Knight P., Whiting A. Purification and properties of native titin. Journal of Molecular Biology. 180(2): 331-356, 1984.

    Wang K.R., McCarter J., Wright J., Beverly J., Ramirez-Mitchell R. Regulation of skeletal muscle stiffness and elasticity by titin isoforms: A test of the segmental extension model of resting tension. Proceedings of the National Academy of Science (USA). 88(6): 7101-7105, 1991.

    Furst D.O., Osborn M., Nave R., Weber K. The organisation of titin filaments in the half-sarcomere revealed by monoclonal antibodies in immunoelectron microscopy: A map of ten non repetitive epitomes starting at the Z-line extends close to the M-line. Journal of Cell Biology. 106(5): 1563-1572, 1988.

    Itoh Y., Susuki T., Kimura S., Ohsashi K., Higuchi H., Sawada H., Shimizu T., Shibata M., Maruyama K. Extensible and less-extensible domains of connectin filaments in stretched vertebrate skeletal muscle as detected by immunofluorescence and immunoelectron microscopy using monoclonal antibodies. Journal of Biochemistry (Tokyo). 104: 504-508, 1988.

    Whiting A., Wardale J., Trinick J. Does titin regulate the length of the muscle thick filaments? Journal of the Molecular Biology. 205(1): 263-268, 1989.

    Wiemann K., Hahn K. Influence of strength, stretching and circulatory exercises on flexibility parameters of the human hamstrings. Int J Sports Med. 18: 340-346, 1997.

    Magid A., Law D.J. Myofibrils bear most of the resting tension in frog skeletal muscle. Science. Dec 13, 230(4731):1280-1282, 1985.

    Hutton R.S. Neuromuskulare Grundlagen des Stretching in: Komi P.V., Kraft und Schnellkraft im Sport.Colonia. 155-172, 1994.

    Proske U., Morgan D.L. Do cross-bridge contribute to the tension during stretch of passive muscle ? J Muscle Res Cell Motil. Aug 20 (5-6): 433-442, 1999.

    Wydra G. Stretching ein berblick über den aktuellen Stand der Forschung. Sportwissenschaft. 4:409-427, 1997.

    Wiemann K., Klee A. Die Bedeutung von Dehen und Stretching in der Aufwärmphase vor Höchsstleistungen. de Leistungssport. 4: 5-9, 2000.

    Trappe T.A., Carrithers J.A., White F., Lambert C.P., Evans W.J., Dennis R.A. Titin and nebulin content in human skeletal muscle following eccentric resistance exercise. Muscle Nerve. Feb 25(2): 289-292, 2002.

    Lieber R.L., Thornell L.E., Friden J., Muscle cytoskeletal disruption occurs within the first 15 min of cyclic eccentric contraction. J Appl Physiol. 80(1): 278-284, 1996.

    Lieber R.L., Woodburn T.M., Friden J. Muscle damage induced by eccentric contractions of 25% strain. J. Appl. Physiol. 70: 2498-2507, 1991.

    Houk J.C., Singer J.J., Goldman M.R. Adequate stimulus for tendon organs to forces applied to muscle tendon. Journal of Neurophysiology. 30: 466-481, 1971.

    Moore J.C. The Golgi tendons organs: A review and update. American Journal of Occupational Therapy. 38(4): 227-236, 1984.

    Barr M. The human nervous system, anatomic viewpoint (3rd ed.). Harper & Row, Hagerstown, 1979.

    Kandel E.R., Swartz J. H. Principles of neural science. Elsevier Ed. New York, 1981.

    Lundberg A. Control of spinal mechanism from the brain. In: D.B. Tower (Ed.), The nervous system. The basic neurosciences, Vol 1: 253-265, 1975.

    Brooks G.A., Fahey T.D. Fundamentals of human performance. McMillian Ed. New York, 1987.

    Jami L. Golgi tendon organs in mammalian skeletal muscle: Functional properties and central actions. Physiological Reviews. 72(3): 623-666, 1992.

    Solomonow M., D’Ambrosia R. Neural reflex arcs and muscle control of knee stability and motion. In: W.N. Scott (Ed.), Ligament and extensor mechanism injuries of the knee. St Laois. Mosby-Year Book. 1991.

    Tilney F., Pike F.H. Muscular coordination experimentally studied in its relation to the cerebellum. Archives of Neurology and Psychiatry. 13(3): 289-334, 1925.

    Rao V. Reciprocal inhibition: Inapplicability to tendon Jerks: Journal of Postgraduate Medicine. 11: 123-125, 1965.

    Kudina L. Reflex effects of muscle afferents on antagonists studies on single firing motor units in man. Electroencephalograpy and Clinical Neurophysiology. 50(3-4): 214-221, 1980.

    De Luca C. Control properties of motor units. Journal of Experimental Biology. 115: 125-136, 1985.

    Johns R.J., Wright V. Relative importance of various tissues in joint stiffness. J Appl Physiol. 17(5): 824-828, 1962.

    Garfin S.R., Tipton C.M., Mubarak S.J., Woo S.L., Hargens A.R. Aekson W.H. Role of fascia in maintenance of muscle tension and pressure. J Appl Physiol. 51(2): 317-320, 1981.

    Manheim C.J., Levett D.K. The myofascial release manual: Thorofare NJ Slack Ed., 1989.

    Patel T.J., Lieber RL. Force transmission in skeletal muscle: from actomyosin to external tendon. Exerc Sport Sci Rew. 25 : 321-363, 1997.

    Huijing P.A. Muscle as a collagen fiber reinforced composite: a review of force transmission in muscle and whole limb. J Biomech. 32(4): 329-345, 1999.

    Monti R.J., Roy R.R., Hodgson J.A., Edgerton V.R. Transmission of forces within mammalian skeletal muscles. J Biomech. 32(4): 371-380, 1999.

    Wolpaw J.R., Carp J.S. Memory traces in spinal cord. Trends in Neuroscience. 13(4): 137-142, 1990.

    Goldspink G. Sarcomere length during-post natal growth in mammalian muscle fibres. Journal of Cell Science. 3(4): 468-479, 1968.

    Williams P.E., Goldspink G. Longitudinal growth of striated muscle fibers Journal of Cell Science. 9(3): 751-767, 1971.

    Azemar G. Physiopathologie de la souplesse. Travaux et Recherches. Special Souplesse. 3:61-74, 1978.

    Halbertsma J.P.K., Göeken L.N.H. Stretching exercises: Effect on passive extensibility and stiffness in short hamstring of healty subjects. Archivies of Physical Medicine and Rehabilitation. 75(9): 976-981, 1994.

    Halbertsma J.P.K., Van Bolhuis A.I., Göeken L.N.H. Stretching exercises: Effect on passive extensibility and stiffness of short hamstring. Archivies of Physical Medicine and Rehabilitation. 77(7): 688-692, 1996.

    Akeson W.H., Amiel D., Woo S. Immobility effects on synovial joints: The pathomechanism of joint contracture. Biorheology. 17(1): 95-110, 1980.

    Nikolic V., Zimmermann B. Functional changes of the tarsal bones of ballet dancers. Radovi Fakuelteta u Zagrebu. 16: 131-146, 1968.

    Rosenbaum D., Hennig E.M. The influence of stretching and warm-up exercises on Achilles tendon reflex activity. Journal of Sports Sciences. 13(6): 481-490, 1995.

    Siff M.C. Exercise and soft tissues. Fitness and Sport Review International. 28(1): 32, 1993.

    Iashvili A.V. Active and passive flexibility in athletes specializing in different sports. Soviet Sports Review. 18(1): 30-32, 1983.

    Zachazewski J.E. Flexibility for sports. In : Sports physical therapy. Ed. B. Sanders, 201-238. Norwalk, 1990.

    Kurz T. Stretching Scientifically: A guide to flexibility training. Island Pond Stadion Ed., 1994.

    Moore M.A., Kukulka C.G. Depression of Hoffman reflexes following voluntary contraction and implication for propioceptive neuromuscular facilitation therapy. Physical Therapy. 71(4): 321-333, 1991.

    Moore M.A., Hutton R.S. Electromyographyc investigation of muscle stretching techniques. Medicine and Science in Sport and Exercise. 12(5): 322-329, 1980.

    Campbell K.S., Lakie M. A cross-bridge mechanism can explain the thixotropic short-range elastic component of relaxed frog skeletal muscle. J Physiol 1(510): 941-962, 1998.

    Guissard N. Duchateau J., Hainaut K. Muscle stretching and motoneuron excitability. Eur J Appl Physiol Occup Physiol. 58(1-2): 47-52, 1988.

    Condon S.M., Hutton R.S. Soleus muscle electromyographic activity and ankle dorsiflexion range of motion during four stretching procedures. Phis Ter. 67(1): 24-30, 1987.

    Freiwald J., Engelhardt M., Jager M, Gnewuch A., Reuter I., Wiemann K., Starischka S. Stretching do current explanatory models suffice? Sportverletz Sportschaden. 12(2): 54-59, 1998.

    Middleton P., Trouve P., Puig P. Etude critique des rapports agonistes/antagonistes concentriques chez le sportif. Actualités en réeducation fonctionelle. Masson Ed. 19° serie 18-21, 1994.

    Armstrong RB. Initial events in exercise induced muscular injury. Med. Sci. Sports Exerc. 22: 429-437, 1990.

    Cuillo J.V, Zarins B. Biomechanics of the musculotendinous unit: relation to athletic performance and injury. Clin Sports Med 1983; 2: 71-86.

    Garret W.E. Muscle strain injury: clinical and basic aspects. Med. Sci. Sports Exerc. 22: 439-443, 1990.

    Roy R.R., Hutchinson D.J., Pierotti J.A., Hodgson J.A., Edgerton V.R. EMG patterns of rat ankle extensor and flexors during treadmill locomotion and swimming. J. Appl. Physiol. 70: 2522-2529, 1991.

    Stauber W.T. Eccentric action of muscles: physiology, injury and adaptation. Exerc. Sport Sci. Rev. 17: 157-185, 1989.

    Elftman H. Biomechanics of muscle. J. Bone Joint Surg. 48A : 363, 1966.

    Garrett W.E., Safran M.R., Seaber AV. Biomechanical comparison of stimulated and non stimulated skeletal muscle pulled to failure. Am. J. Sports Med. 15: 448-454, 1987.

    Brewer B.J. Instructional Lecture American Academy of Orthopaedic Surgeons 17: 354-358, 1960.

    Friden J., Lieber R.L. Structural and mechanical basis of the exercise-induced muscle injury. Med. Sci. Sports Exerc. 24: 521-530, 1992.

    Lexell J., Henriksson-Larsen K., Sjostrom M. Distribution of different fibre types in human skeletal muscles. A study of cross-sections of whole m. vastus lateralis. Acta Physiol. Scand. 117: 115-122, 1983.

    Russell B., Dix D.J., Haller D.L. Repair of injured skeletal muscle: a molecular approach. Med. Sci. Sports Exerc. 24: 189-196, 1992.

    Taylor D.C., Dalton J.D. Experimental muscle strain injury. Am. J. Sports Med. 21: 190-194, 1993.

    Tidball J.G., Myotendinous junction injury in relation to junction structure and molecular composition. Exerc. Sports Sci. Rev. 19 : 419-445, 1991.

    Van Mechelen W., Hlobil H., Kemper H.C., Voorn W.J, De Jongh H.R. Prevention of running injuries by warm-up, cool down, and stretching exercises. Am J Sports Med. Sep-Oct;21(5):711-9, 1993.

    Pope R.P., Herbert R.D., Kirwan J.D Effects of ankle dorsiflexion range and pre-exercise calf muscle stretching on ijury risk in Army recruits. Aust J Physiother. 44(3) : 165-172, 1998.

    Pope R.P., Herbert R., Kirwan. J.D., Graham B.J. A randomized trial of pre-exercise stretching for prevention of lower limb injury. Med Sci Sports Exerc. 32(2) : 271-277, 2000.

    Magnusson S.P., Aagaard P., Simonsen E.B., Bojsen-Moller F. A biomechanical evaluation of cyclic and static stretch in human skeletal muscle. Int J Sports Med. 19: 310-316, 1998.

    Shrier I. Stretching before exercise does not reduce the risk of local injury: a critical review of the clinical and basic science literature. Clin J Sports Med. 9(4): 221-227, 1999.

    Travell J.G., Simmons D.G. Dolore muscolare. Ghedini Editore. Milano, 1988.

    Wiemann K., Klee A. Stretching e prestazioni sportive di alto livello. SdS, 49: 9-15, 2000.

    Kokkonen J., Nelson A.G., Cornwell A. Acute muscle stretching inhibits maximal strength performance. Research Quarterly for Exercise and Sport. 69(4): 411-415, 1998.

    Fowles J.R., Sale D.G., MacDougall J.D. reduced strength after passive stretch of human plantarflexor. J Appl Physiol. 89: 1179-1188, 2000.

    Nelson A.G, Guillory I.K, Cornwell C, Kokkonen J. Inhibition of maximal voluntary isokinetic torque production following stretching is velocity-specific. J Strength Cond Res. May;15(2):241-6, 2001.

    Nelson A.G., Kokkonen J. Acute ballistic muscle stretching inhibits maximal strength performance. Res Q Exerc Sport. 72(4): 415-419, 2001.

    Henning E., Podzielny S. Die Auswirkung von dehn – und Aufwärmübungen auf die Vertikalsprungleistung. Deutsche Zeitschrift für Sportmedizin. 45: 253-260, 1994.

    Knudson D., Bennet K., Corn R., Leick D., Smith C. Acute effects of stretching are not evident in the kinematics of vertical jump. Journal Strength Conditioning Research. 15(1): 98-101, 2001.

    Church J.B., Wiggins M.S., Moode F.M., Crist R. Effect of warm-up and flexibility treatments on vertical jump performance. Journal Strength Conditioning Research. 15(3): 332-336, 2001.

    Cornwell A., Nelson A.G., Sidaway B. Acute effect of stretching on the neuromechanical properties of the triceps surae muscle complex. Eur J Appl Physiol. 86: 428-434, 2002.

    Güllich A., Schmidtbleicher D. Methodik des Krafttrainings. In: Sievers A, Muskelkrafttraining. Vol 1: 17-71. Kiel, 2000.

    Evans W.J., Cannon J.G. The metabolic effect of exercise-induced muscle damage. Exerc Sport Sci Rev. 19:99-125, 1991.

    Ullrich K., Gollhofer A. Physiologische Aspekte und Effektivitat unterschiedlicher Dehnmethoden. Sportmedizin. 45: 336-345, 1994.

    Lieber R.L., Shah S., Friden J. Cytoskeletal disruption after eccentric contraction-induced muscle injury. Clin Orthop. Oct (403 suppl) S90-99, 2002.

    Johansonn P.H., Lindstrom L., Sundelin G., Lindstrom B. The effects of pre-exercise stretching on muscular soreness, tenderness and force loss following heavy eccentric exercise. Scand J Med Sci Sports. 9(4): 219-225, 1999.

    Wessel J., Wan A. Effect of stretching on the intensity of delayed-onset muscle soreness. Clinical Journal of Sport Medicine. 4(2): 83-87, 1994.

    Buroker K.C., Schwane J.A. Does post exercise static stretching alleviate delayed muscle soreness?Physician an Sport Med. 17(6): 65-83, 1989.

  2. GLOSSARIO

    Amniota: dal greco amnion, agnellino, sacco per la raccolta di sangue sacrificale. Superclasse che comprende i Tetrapodi i cui embrioni sono provvisti di amnios e di allantoide (Rettili, Uccelli e Mammiferi), capaci di riprodursi e compiere il loro sviluppo embrionale nell'ambiente aereo.

    Collagene o collageno: proteina semplice, fibrosa, contenuta nei tessuti connettivi, in particolare nelle fibre collagene e reticolari, ai quali conferisce una notevole resistenza meccanica alla tensione. Il collageno è costituito da unità di tropocollageno, caratterizzate dalla presenza di aminoacidi rari quali l'idrossiprolina e l'idrossilisina, associate in strutture superiori ordinate. Per ebollizione in acqua dà luogo alla formazione di gelatina.

    Lamina basale: struttura strettamente accollata al plasmalemma di alcuni tipi cellulari, specialmente delle cellule epiteliali sul versante connettivale; nel caso dell'epidermide rappresenta una componente del complesso giunzionale definito membrana basale. La lamina basale è costituita da proteoglicani e glicoproteine.

    Glicosaminoglicano: polisaccaride acido complesso, generalmente costituente la catena polisaccaridica di un protidoglicano. I glicosaminoglicani sono costituiti prevalentemente da catene polimeriche di unità quali l'acido glucuronico, l'N-acetil-glucosamina, l'N-acetil-galattosamina, l'N-acetil-galattosamina esterificata in posizione 4 o 6 da residui di acido solforico, ecc. Essi sono per lo più sostanze acide altamente idratate, gelatinose e viscose, presenti soprattutto nella sostanza connettivale fondamentale, nella cartilagine, nell'osso, nel liquido sinoviale articolare, nell'umor vitreo dell'occhio e sui rivestimenti cellulari esterni. I principali glicosaminoglicani sono l'acido ialuronico, il condroitinsolfato, il dermatansolfato, il cheratansolfato, l'eparansolfato e l'eparina.

    Acido ialuronico: principale glicosaminoglicano della sostanza fondamentale del tessuto connettivo. Le molecole di acido ialuronico sono polimeri quasi lineari di peso molecolare molto elevato (105-106 dalton), la cui unità ripetitiva è costituita da un residuo di N-acetilglucosamina unito con legame b-1,4-glicosidico a uno di acido D-glucuronico. Quest'ultimo è unito con legame b-1,3-glicosidico alla successiva unità disaccaridica. L'acido ialuronico è presente, associato a proteine, anche nel corpo vitreo dell'occhio, nel liquido sinoviale e nella cute. La sua demolizione è catalizzata dall'enzima ialuronidasi.

   
                     
                     
  Home
Sezioni tematiche
Scrivimi
Incontri
Curriculum
Links
News
Kinemove Center

  Sezioni tematiche
Fisiologia e biomeccanica
Metodologia dell'allenamento
Traumatologia sportiva
  Curriculum
Curriculum vitae (italiano)
Curriculum vitae (english)

Pubblicazioni
Il Ginocchio
Il Corpo in Movimento
Teoria e Metodologia del Movimento Umano

 

Links
News
Kinemove Center

  Home
Sezioni tematiche
Scrivimi
Incontri
Curriculum
Links
News
Kinemove Center
 
                     
 
                 
                     
                     
                     

© 2004 - 2012 Created by CDM Maurizio Bardi
mauriziobardi@lunigiana.net